Erano trascorsi
quasi tre anni da "Paura per Janet", ma non erano trascorsi invano. Nel
frattempo, la Rai aveva prodotto e trasmesso due serie de "Le inchieste
del commissario Maigret" con Gino Cervi (otto sceneggiati di varia
durata per un totale di diciotto puntate), "La donna di fiori", prima
indagine "lunga" (sei puntate) per il tenente Sheridan di Ubaldo Lay, e
altri due cicli di una serie giallo-rosa con Lauretta Masiero e Aldo
Giuffre', "Le avventure di Laura Storm", e tutte con grandissimo
successo. Volendo, potremmo anche inserire l'incubo di tutti i bambini,
in quell'estate del '66, che come me tremavano nascondendosi dietro le
lenzuola, ma non rinunciavano a seguire le tenebrose imprese del
sinistro "Belfagor, il fantasma del Louvre", il cui successo fu tale da
costringere la Rai a trasferirlo per le ultime due puntate dal Secondo
Programma (che ormai sembrava il canale deputato ai gialli) al Programma
Nazionale, ma in realtà si trattava di una produzione francese. Tuttavia
anche questa era un'ulteriore prova di quanta importanza il genere
poliziesco avesse acquisito nei palinsesti della tv di stato. Ormai era
ora di rispolverare anche il "vecchio" Durbridge, e per farlo fu scelto
uno dei suoi più recenti copioni.
"Melissa" era andato in onda sulla BBC solo due anni prima con enorme
successo, come del resto tutti gli sceneggiati firmati Durbridge in
patria, ed era stato subito acquistato da diverse tv di varie nazioni
europee (Francia e Germania tra le altre) che ne avevano messo in
cantiere ognuna una propria versione, ed ai dirigenti Rai apparve subito
come la scelta più idonea. Ed in effetti, lo script possedeva un
po' tutti gli elementi tipici del miglior Durbridge.
Per la prima volta, non abbiamo bisogno di ricorrere alle schede del
Radiocorriere TV, perché per fortuna, di "Melissa", così come di tutti
gli altri sceneggiati di Durbridge degli anni a seguire sono rimasti i
nastri, e grazie ai DVD, tutti possono oggi rivederseli quando e quanto
vogliono. Non rinunceremo tuttavia al solito breve riassunto della trama.
Guy Foster, ex-giornalista che ha lasciato la professione per coltivare
le sue velleità di scrittore, non se la cava molto bene economicamente,
e la questione è causa di frequenti dissapori con sua moglie Melissa;
eppure Melissa, all'insaputa di suo marito, vive bene al di sopra dei
mezzi modesti della coppia. Guy lo scopre nel peggiore dei modi, quando
il cadavere strangolato di lei viene ritrovato nel Regent's Park di
Londra. La donna si era recata in compagnia di due amici, Felix e Paula
Hepburn, ad un ricevimento del campione automobilistico Don Page.
Rimasto a casa da solo a scrivere, Guy aveva ricevuto una chiamata di
Melissa che lo invitava ad unirsi alla festa dove avrebbe incontrato un
importante editore. Poco entusiasta, Guy si era comunque recato
all'indirizzo datogli dalla moglie, solo per scoprire che
quell'indirizzo non esisteva e che Melissa era stata ritrovata uccisa
nel parco. Da lì, l'uomo comincia a scoprire tante cose che non avrebbe
immaginato: Melissa era in possesso di cospicue somme di denaro,
gioielli ed altri valori, di cui lui non aveva mai sospettato
l'esistenza, che a quanto pare vinceva al gioco. L'ispettore Cameron di
Scotland Yard, che conduce le indagini, scopre i pessimi rapporti che
intercorrevano tra la coppia, e viene a sapere addirittura che Melissa,
preoccupata della salute mentale del marito, l'avrebbe convinto a
consultare uno psichiatra, il dottor Norman Swanson, per i suoi scatti
di rabbia. Guy nega assolutamente di aver mai consultato Swanson, ma
resta di sasso, quando questi invece lo smentisce affermando di averlo
ricevuto e visitato nel suo studio. La circostanza è confermata anche
dall'infermiera dello psichiatra, Joyce Dean. Ormai la polizia lo
sospetta, e Guy sembra incapace di sottrarsi alla rete di menzogne che
lo circonda. Ma sono davvero menzogne? Perfino i suoi più cari amici
cominciano a dubitare di lui. Una cappelliera che compare e scompare, un
nome su una lettera di Melissa che solo lui sembra avere letto, ed un
uomo che misteriosamente cambia volto, sono altri elementi di questo
ingegnoso puzzle che sconcertò anche il pubblico italiano per sei
settimane, spingendolo a chiedersi se Rossano Brazzi, gloria nazionale
ma anche stella del cinema internazionale, che interpretava il
protagonista Guy Foster, fosse solo un innocente, incastrato da una
serie incredibile di circostanze avverse, o non fosse davvero un pazzo
omicida dalla doppia personalità.
Diretto ancora da Daniele D'Anza, di ritorno dopo "Paura per Janet",
"Melissa" fu visto da quasi dieci milioni di spettatori (9.900.000, per
la precisione, quasi tre milioni più de "La sciarpa", e sei più di "Paura
per Janet"!) con un gradimento confermato all'82%. Accanto a Brazzi, al
suo esordio come attore televisivo, c'erano Esmeralda Ruspoli,
nobildonna di antica casata datasi alla professione di attrice, nel
ruolo della defunta ma sempre presente Melissa, Aroldo Tieri, che ormai
sembrava essere diventato una specie di portafortuna per i gialli di
Durbridge, e Laura Adani, in quelli di Felix Hepburn e di sua moglie
Paula, Massimo Serato come il pilota di Formula Uno Don Page, Franco
Volpi, altro ritorno del giallo "durbridgiano", come il dottor Swanson,
la giovane Luisella Boni come la bella e ambigua infermiera Joyce Dean,
e Turi Ferro nei panni dell'imperturbabile ispettore Cameron.
In quella metà degli anni '60, l'Italia era in pieno boom
economico. Gli apparecchi televisivi, e di conseguenza gli abbonamenti
erano cresciuti esponenzialmente ed a quel punto erano davvero poche le
famiglie che per seguire i programmi tv dovevano ancora trasferirsi in
casa di parenti o amici. Con la sua esperienza ormai più che decennale,
la Rai era uscita dall'infanzia e si apprestava a diventare una delle
emittenti europee più ricche, per cui non si badava più a spese
specialmente per le fiction (anche se allora si parlava ancora di
teleromanzi, sceneggiati o originali televisivi), e "Melissa"
sicuramente si giovò di questo. I giorni di trasferta sul suolo
britannico per girarvi gli esterni, in particolare a Londra, aumentarono,
e la sigla iniziale, una delle più ricordate di uno sceneggiato di
Durbridge, fu girata interamente lungo le strade della capitale inglese,
con la telecamera che inquadrava frontalmente un'auto della polizia che
correva a sirene spiegate, mentre la musica di Fiorenzo Carpi con i suoi
fiati dal ritmo jazzistico faceva da accompagnamento, e sulle immagini
scorrevano i titoli d'apertura. Ma non meno ricordata è senz'altro anche
la sigla di chiusura, "Regent's Park" sempre scritta da Carpi con D'Anza
ed eseguita vocalmente da Connie Francis, popolarissima cantante
italo-americana dell'epoca, che con le sue immagini misteriose e
suggestive ed i suoi toni un po' malinconici, alludeva alla figura di
Melissa che avvolta in una pelliccia (pelliccia che nella trama assumerà
grande rilievo), si avviava verso il suo destino.
Lo sceneggiato andò in onda, ancora in sei puntate e sempre sul Secondo
Programma, ma stavolta con una sola puntata a settimana, collocata il
mercoledì, dal 23 Novembre al 28 Dicembre 1966, all'ora canonica delle
21,15. Evidentemente s'intendeva centellinare la suspence per gli
spettatori che avrebbero dovuto attendere un'intera settimana di ansie e
congetture per poter tornare a seguire un nuovo capitolo della vicenda,
e poter alla fine avere una risposta alla nuova domanda che percorreva
lo stivale: "Chi ha ucciso Melissa Foster?". Ed è ovvio che ormai la "caccia
al colpevole" era divenuta uno sport nazionale: non solo giornali e
riviste pubblicavano articoli, interviste agli interpreti (anche se la
consegna al silenzio era rigidissima), ma addirittura un rotocalco bandì
un vero e proprio concorso con tanto di ricchi premi per chi avesse
indovinato il nome dell'assassino. Nome che, altrettanto ovviamente, era
protetto con estrema cura dai pochissimi che lo conoscevano. Il regista
D'Anza, addirittura questa volta, girò molte differenti versioni della
stessa scena, e ad ogni nuova versione, appariva un diverso autore per
il delitto. Le molte versioni di questa scena andarono poi regolarmente
in onda nell'ultima puntata del giallo (per la serie, come con il maiale
non si butta via nulla), nella lunga sequenza in cui l'ispettore Cameron
ipotizza come le cose possono essere andate secondo lui, acuendo la
curiosità del pubblico in attesa di scoprire quale delle varie possibili
ipotesi si sarebbe rivelata quella vera. Questo espediente servì non
solo a confondere le idee a giornalisti ed investigatori dilettanti, ma
anche agli stessi attori che poterono sperare fino all'ultimo di essere
ognuno di loro il colpevole. Sì, perché essere "l'assassino" in un
popolarissimo giallo a puntate era divenuta l'aspirazione di molti
attori, soprattutto tra quelli ancora in cerca di una vera notorietà.
Per almeno un mese sarebbero stati protagonisti di interviste da parte
di giornali e riviste di tutta Italia e della stessa tv, riscuotendo una
popolarità che avrebbe potuto significare nuove possibilità di scritture
e prospettive inimmaginabili, per cui si può capire facilmente quanto
quel ruolo fosse ambito. L'ultima puntata del giallo, poi, fu un tale
evento televisivo che il giorno dopo, il telegiornale del Programma
Nazionale gli dedicò un intero servizio. Una cosa all'epoca più unica
che rara.
Alla durata ed al prolungamento delle emozioni per lo spettatore
italiano, contribuivano poi anche le traduzioni dell'esperta Franca
Cancogni, sorella del giornalista e scrittore Manlio Cancogni,
sceneggiatrice e scrittrice essa stessa, che riusciva, in collaborazione
spesso con il regista di turno (o, come capiterà in futuro, con altri
scrittori) ad ampliare i tempi della storia, aggiungendo scene o
approfondimenti psicologici dei personaggi, che meglio si adattavano al
gusto dello spettatore di casa nostra, o degli stessi attori che
potevano esprimersi più compiutamente di quanto potessero fare i loro
colleghi inglesi, con i più sintetici copioni di Durbridge. Infatti,
mentre le versioni inglesi, che fossero divise come in un primo tempo in
sei o successivamente in tre puntate, non superavano mai in pratica le
tre ore totali di trasmissione, quelle italiane, con puntate che
potevano variare di durata in media dai 55 minuti all'ora e un quarto,
potevano sfondare spesso il tetto delle sei o anche sette ore.
Un esempio pratico di questo posso testimoniarlo personalmente, avendo
avuto la possibilità di vedere in DVD il remake a colori di
"Melissa", prodotto in tre parti dalla BBC nel 1974. La trama è identica
a quella dell'edizione italiana, ma i tempi sono molto più veloci (ogni
puntata di un'ora ne contiene due delle nostre), e le interpretazioni
più contenute, ed oserei quasi dire più "fredde", di quelle a cui siamo
abituati noi. Non c'è traccia, ad esempio, della sofferenza che Rossano
Brazzi riusciva a comunicarci per la scomparsa di sua moglie. All'attore
che interpretava il ruolo di Guy Foster in questo remake inglese,
un non meglio identificato Peter Backworth, avrebbero potuto aver
ammazzato il gatto per il grado di emozione che riesce a manifestare. E
inutilmente cerchereste tracce dell'umana simpatia del "nostro"
ispettore Cameron, il grande Turi Ferro, nel rigido e segaligno
funzionario di polizia, suo equivalente, che indaga sul delitto.
Intendiamoci, i meccanismi di Durbridge funzionano sempre alla grande,
ma le versioni Rai riuscivano ad infondere un'anima alle sue storie, che
gli spettatori d'oltremanica non si sognano, e forse non sarebbero
neanche in grado di apprezzare.
Tuttavia, anche e soprattutto in Inghilterra, "Melissa" resta comunque
la serie più popolare scritta da Durbridge, visto che è l'unica ad aver
goduto di ben tre versioni: quella originale del 1964, il già citato e
fedele remake del 1974, ed un'ulteriore nuova edizione nel 1997
(mai vista a quanto mi consta fuori dall'Inghilterra, ma pare
pesantemente rimaneggiata), un anno prima della morte di Durbridge.
Text:
Antonio Scaglioni |