Pare che in quel
finale d'anno 1966, mentre l'Italia televisiva tutta s'interrogava
ancora su chi avesse ucciso Melissa Foster, un cronista particolarmente
intraprendente avesse avuto la trovata geniale di telefonare ad un suo
collega inglese (in Inghilterra "Melissa" nella sua versione originale
era già andato in onda due anni prima) per farsi rivelare il nome
dell'assassino.
Se l'espediente funzionò o meno non è dato sapere perché in realtà
nessun giornale pubblicò anzitempo quel nome, e la notizia di questa
fantomatica telefonata internazionale trapelò solo molto tempo dopo la
fine dello sceneggiato. Quindi direi che è più che probabile che si
tratti solo di una specie di leggenda metropolitana, diciamo così, di
quelle che amano inventarsi le redazioni per insaporire un articolo, ma,
leggenda o no, evidentemente la faccenda dovette allarmare abbastanza i
dirigenti Rai e Daniele D'Anza che per il successivo giallo di Durbridge
pensarono ad un sistema tutto nuovo per confondere le acque.
Ma procediamo con ordine. Dopo l'enorme successo popolare e mediatico di
"Melissa", la Rai si sentiva ulteriormente incentivata, se ce ne fosse
stato ancora bisogno, ad incrementare il numero di trasmissioni a sfondo
poliziesco delle sue due reti. Tra l'inizio del '67 e il settembre del
'69, quando il nuovo Durbridge esordì in pompa magna di domenica alle
21,05 sul Programma Nazionale (novità assoluta per il nostro autore!),
ormai i gialli non si contavano più. Cito solo i titoli più importanti
di quel periodo: oltre ai soliti Sheridan, tornato non solo con una
nuova donna del suo poker in formazione, "La donna di quadri", in
cinque puntate, ma anche con una nuova serie di cinque episodi
autoconclusivi, quasi dei tv movies, riuniti sotto il titolo di "Squadra
Omicidi, Tenente Sheridan", e Maigret con un terzo ciclo di storie (altri
cinque sceneggiati per un totale di undici episodi), arrivarono ad
unirsi alla schiera degli investigatori reinventati dalla nostra
televisione, anche Nero Wolfe ed il suo assistente Archie Goodwin, dai
romanzi di Rex Stout, al secolo Tino Buazzelli e Paolo Ferrari (sei
storie divise ognuna in due parti), ed il re di tutti gli investigatori,
il grande Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle, interpretato alla
perfezione da Nando Gazzolo, affiancato da un altrettanto perfetto
Gianni Bonagura nella parte dell'inseparabile Watson (due classici, "La
valle della paura" e "L'ultimo dei Baskervilles" in tre puntate ciascuno).
Tra i prodotti un po' più sui generis, ma da non trascurare,
ricorderei anche "Geminus", un singolare giallo quasi in chiave di
commedia con un insolito Walter Chiari, e la prima serie de "I ragazzi
di Padre Tobia", telefilm per ragazzi dal sapore solo vagamente
poliziesco, ma degno di apparire in questa breve lista, se non altro per
la firma degli autori, quei Casacci e Ciambricco, già padri del tenente
Sheridan.
Per quel che riguardava invece Durbridge, anche se niente di suo era più
stato prodotto da quasi tre anni per la televisione, la pausa non era
stata tanto lunga in realtà per quei suoi appassionati che fossero stati
attenti fruitori anche della radio, visto che a cavallo della
primavera-estate 1967 era andata in onda una nuova avventura di Paul
Temple, "Margò" in dieci puntate, trasmesse nell'arco di due settimane
dal lunedì al venerdì, alle 10 del mattino sulle frequenze del Secondo
Programma radiofonico. Con la regia di Guglielmo Morandi (che era stato
anche il regista del primo sceneggiato tv di Durbridge "La sciarpa"), e
la traduzione e adattamento dell'immancabile Franca Cancogni, il
radiodramma vedeva nella parte dello scrittore detective per la prima
volta un interprete di fama, contrariamente alla volte precedenti in cui
ci si era serviti di attori delle varie compagnie locali di prosa della
Rai, e cioè Aroldo Tieri, per la quarta volta consecutiva impegnato in
un giallo di Durbridge, un record che stava per ulteriormente
incrementare, come vedremo. Insieme a lui, ad arricchire il cast per la
maggior parte composto dalla Compagnia di Prosa di Firenze della Rai,
furono chiamati Giuliana Lojodice, Corrado Gaipa e Cesare Polacco,
l'indimenticabile ispettore Rock dei caroselli della brillantina Linetti
(ricordate? "Anch'io ho commesso un errore..."). L'anno dopo, poi,
ancora il Secondo Programma della radio, aveva trasmesso "La Boutique",
radiodramma giallo che Durbridge aveva scritto su richiesta dell'European
Broadcasting Union, il consorzio delle emittenti radiofoniche
europee, per il mercato continentale ed il Commonwealth, e che andò in
onda quasi in contemporanea in quindici paesi, tra i quali appunto il
nostro. La versione italiana, diretta da Umberto Benedetto, e trasmessa
nell'autunno del 1968 in cinque puntate il venerdi alle 20, vedeva tra i
protagonisti Andrea Checchi, Arnoldo Foà e Ilaria Occhini, ancora
coadiuvati dalla Compagnia di Prosa di Firenze. Eccezionalmente la
traduzione non venne curata dalla Cancogni, ma da Amleto Micozzi, ma
questo resterà un caso unico.
Come si vede, insomma, nonostante la pausa televisiva, la Rai non aveva
certo dimenticato lo scrittore inglese, e finalmente nell'estate del
1969 giunse notizia di un nuovo giallo di Durbridge in lavorazione per
la tv, il terzo consecutivo diretto da D'Anza che si stava
specializzando nel genere (e che negli anni successivi avrebbe firmato
altri grandi successi come "Coralba", "Il segno del Comando", "Ho
incontrato un'ombra", "L'ultimo aereo per Venezia", tutti in chiave
mystery ma non più all'ombra dello scrittore inglese). Ancora una
volta si trattava di un'opera abbastanza recente (1966) il cui titolo
piuttosto banale, "A Game of Murder", si trasformò in italiano nel più
suggestivo "Giocando a golf, una mattina". Franca Cancogni fu di nuovo
affiancata dal regista come era già accaduto con "Melissa" ed insieme i
due tirarono fuori dallo script originale un'ottima sceneggiatura
che, come la precedente, arricchiva senza tradirli il testo e i
personaggi di Durbridge di sfumature dal sapore decisamente più nostrano.
Inoltre, pur non rinunciando al solito sistema delle soluzioni
alternative per proteggere anche sul set l'identità del colpevole (questa
volta ne furono girate tre), D'Anza, come accennavo prima, escogitò un
ulteriore trucchetto per confondere ancora di più le acque e scoraggiare
chi avesse voluto eventualmente cercare di emulare la presunta impresa
di quel cronista di cui sopra, che esistesse davvero o no. Tutti i nomi
dei personaggi della storia vennero cambiati per renderli meno
identificabili. Si mutarono anche alcuni rapporti di parentela (nell'originale,
la prima vittima era il padre e non il fratello dell'investigatore) e
così via, nell'intento di rendere la vita difficile il più possibile ad
eventuali guastafeste. Quindi se vi è magari capitato di leggere il
libro omonimo tratto dallo sceneggiato, e pubblicato anni dopo anche in
Italia, ora sapete perché nessuno dei personaggi della storia avesse un
nome corrispondente a quelli che ricordavate.
Tuttavia, come dicevo, la trama, pur allungata e rimpinguata di dialoghi
e scene fino a riempire le sei puntate di circa un'ora l'una come
richiesto dalla dirigenza Rai, rispettava pedissequamente l'intrigo
ordito da Durbridge: trasferito a Londra da Birmingham, l'ispettore Jack
Kirby, in attesa di prendere servizio a Scotland Yard pensa di godersi
un paio di settimane di ferie presso il fratello Bob, ex-asso del golf e
attualmente proprietario di un negozio di articoli sportivi, ma
l'atmosfera che vi trova è tesa, e Bob sembra depresso e intenzionato a
cedere l'attività. Jack fa appena a tempo ad incontrarlo sul campo da
golf, che Bob resta vittima di un incredibile incidente di gioco.
Colpito alla testa da una pallina, cade su un sasso restando ucciso sul
colpo. Responsabile è un certo Tony Stewart, che appare prostrato dalla
disgrazia. Jack non crede all'incidente e sospetta che suo fratello sia
stato ucciso di proposito, ma nessuno gli dà ascolto, a partire dal suo
diretto superiore, il sovrintendente Bromford, e dal suo collega ed
amico, l'ispettore Ed Royce. Jack contro il loro parere persegue
pervicacemente la pista del delitto e i suoi sospetti sembrano trovare
conferma quando scopre il numero della targa dell'auto di Stewart
annotato da Bob su una cartella nel suo ufficio. Contattato, Stewart
nega di aver mai conosciuto Bob se non di vista, ma accetta di
incontrare Jack, salvo poi non presentarsi, mandando la sua ragazza, Kay
Richardson, al suo posto, per dargli un nuovo appuntamento. E stavolta
Stewart c'è, ma morto con una pallottola nella testa. Ma a quanto pare
prima di morire, Stewart ha inviato a Kirby una raccomandata, come
scoprono Royce e Bromford, da una ricevuta rinvenuta a casa sua. Nel bel
mezzo di questi tragici eventi, si dipana una vicenda che sembrerebbe
minore ed assolutamente estranea. La signora Mason, governante del
fratello, ha smarrito da giorni il suo cagnolino. A ritrovarlo
insperatamente, abbandonato e senza collare, è una strana coppia di
coniugi, David Scott, un anziano gentiluomo bloccato su una sedia a
rotelle, e la sua giovane moglie Mabel, e a Jack che è passato a
riprenderselo, Scott chiede di devolvere la ricompensa ad un comitato di
beneficenza e girarlo in favore del segretario, un certo Basil Haigs.
Immaginatevi la sorpresa di Jack quando nell'appartamento di Stewart la
polizia scoprirà proprio l'assegno da lui firmato in favore del signor
Haigs! Il giorno dopo, intanto, la raccomandata arriva, e contiene due
oggetti, un collare da cani, e un biglietto con su scritto, "Per questo
tuo fratello è stato ucciso."
Questa è praticamente la trama della prima puntata, e fermiamoci pure
qui, dato che lo sceneggiato può essere facilmente recuperato in DVD e
sarebbe un peccato rivelare troppi dettagli, rischiando di rovinare il
divertimento a chi ancora non lo avesse visto, ma credo che basti a far
capire che siamo in pieno Durbridge, con le sue consuete e intriganti
coincidenze, che naturalmente non si riveleranno mai come tali, e i suoi
colpi di scena spiazzanti, fatti ad arte per confondere lo spettatore.
Che rapporto infatti possa esserci tra un collare per cani, un
paraplegico a giorni alterni, le morti di Bob Kirby e Tony Stewart, e
una misteriosa organizzazione, che dietro ad un giro di fotomodelle,
nasconde prostituzione, spionaggio e ricatti, sarà il tema sviluppato
nel corso delle sei puntate dello sceneggiato, in onda nuovamente a
ritmo bisettimanale la domenica e il giovedì, dal 28 Settembre al 16
Ottobre 1969, riducendo così i tempi di trasmissione e il rischio di
pericolose indiscrezioni.
Ormai la Rai sapeva di poter contare su un successo sicuro quando si
trattava di gialli a puntate, soprattutto se firmati da Durbridge, e
anche stavolta non restò delusa. L'accoglienza del pubblico fu a dir
poco entusiastica; il passaggio, poi, dal Secondo Programma al Nazionale
e la collocazione domenicale favorirono ancora di più "Giocando a golf,
una mattina" che raccolse un bel 80 di gradimento e oltre 15 milioni di
spettatori di media. Tra i protagonisti, Luigi Vannucchi era Jack Kirby,
Aroldo Tieri, per la quinta ed ultima volta in un giallo di Durbridge,
di cui negli anni '60 era stato praticamente il simbolo, nel ruolo
dell'amico Ed Royce, e poi in ordine sparso, Luigi Montini (Tony
Stewart), Gaetano Bartolucci (il sovrintendente Bromford), Andrea
Checchi e Marina Berti (i coniugi Scott), Mario Carotenuto (Norman
Brooks, l'ambiguo proprietario di un negozio di animali), Giuliana
Lojodice (la sua amica e fotomodella Jessica) e Luisella Boni (Kay
Richardson), di ritorno dopo "Melissa" in un ruolo da bella e misteriosa.
A questo proposito, da una rivelazione fatta dal regista D'Anza al
Radiocorriere, pare che per il ruolo di Kay Richardson fosse stata
ingaggiata Alida Chelli, di lì a poco sposa di Walter Chiari, ma la
Chelli, degna compagna evidentemente del suo prossimo marito, non si
fece mai vedere sul set, e D'Anza apprese solo parecchi giorni dopo che
si trovava in Australia dove aveva raggiunto Chiari. La parte venne
quindi assegnata a Luisella Boni.
Come per "Melissa", i molti esterni di "Giocando a golf, una mattina"
furono quasi interamente girati a Londra e anche stavolta le sigle,
iniziale e finale, furono filmate tra le strade più popolari della
capitale britannica, dalla City a Carnaby Street, nel tentativo,
egregiamente riuscito secondo me, di metterne a confronto le due facce,
tradizionale e moderna, con da una parte gli ingessati uomini d'affari
in giacca e bombetta e gli impettiti soldati della Regina, e dall'altra
i coloratissimi esponenti della gioventù londinese dell'epoca, ragazzi
con lunghe basette e floride barbe e ragazze con vertiginose minigonne,
mentre tra la folla si intravedevano i vari personaggi del giallo, sulle
note delle musiche di Gigi Cicchellero (sua anche la canzone della sigla
finale "Un impermeabile bianco" scritta con D'Anza e cantata da Paola
Orlandi).
Ma anche nelle scene in interni, girate come di consueto negli studi Rai,
D'Anza, con la puntuale collaborazione dello scenografo Sergio Palmieri
e del costumista Ezio Altieri, si sforzò diligentemente di ricostruire
l'atmosfera vivace della "Swinging London" di quegli anni, con
l'allestimento di ambienti tipici come locali notturni, studi
fotografici e modernissimi appartamenti arredati secondo la moda del
momento, e capi d'abbigliamento, parrucche e acconciature, esibiti dalle
protagoniste femminili, Luisella Boni, Giuliana Lojodice e Marina Berti,
oltre che dalle molte altre bellissime modelle che abbondano nella
storia.
Singolare poi la trovata di non inserire i titoli in sovraimpressione
nella sigla iniziale, ma di farli recitare ad una voce narrante. Ma come
vedremo, sperimentazioni insolite nelle sigle dei gialli di Durbridge
saranno impiegate anche successivamente.
Text:
Antonio Scaglioni |