Nonostante il
successo che gli sceneggiati gialli di Durbridge avevano sempre riscosso
tra i telespettatori italiani, prima di "Un certo Harry Brent", nessuna
delle opere dello scrittore inglese era mai riuscita a piazzarsi nella
Top Ten degli ascolti. Ora, per essere precisi, bisognerebbe
specificare che soltanto dal 1965 i dati del Servizio Opinioni venivano
comunicati ufficialmente attraverso la pubblicazione sulle pagine del
Radiocorriere TV, quindi non si hanno dati certi sul periodo antecedente,
ma è difficile pensare che i quasi sei milioni de "La sciarpa", o i
quasi quattro di "Paura per Janet", nel 1963, potessero seriamente
essere riusciti ad entrare in una ideale classifica dei dieci programmi
di maggior successo, quando a far la parte del leone erano quasi sempre,
oltre all'onnipresente Festival di Sanremo, varietà, giochi a quiz,
qualche importante appuntamento sportivo, o in alternativa i grandi
sceneggiati tratti dai classici letterari, tutti trasmessi sul Programma
Nazionale, che contavano non meno di dodici-quindici milioni di
spettatori a testa. Il primo giallo a puntate a riuscire ad entrare in
classifica fu, proprio nel 1965, "La donna di fiori" diretto da Anton
Giulio Majano, prima inchiesta "lunga" del popolarissimo tenente
Sheridan, che con i suoi tredici milioni e seicentomila spettatori di
media a puntata si piazzò all'ottavo posto in quell'anno. Negli anni
immediatamente successivi nessuno sceneggiato poliziesco, né Sheridan
con le sue altre "donne", né tantomeno "Melissa" o "Coralba" di Daniele
D'Anza, riuscì nell'impresa di dare la scalata alla classifica. Solo "Giocando
a golf, una mattina", nel 1969, con quindici milioni e centomila arrivò
a sfiorare la decima posizione, strappatale però da "I fratelli
Karamazov" per soli trecentomila spettatori in più.
Ma nel 1970, finalmente "Un certo Harry Brent" di Francis Durbridge
riuscì a sfondare quel muro, apparentemente invalicabile, e con i suoi
diciotto milioni e ottocentomila spettatori si piazzò ad un
onorevolissimo settimo posto, migliorando di una posizione il risultato
ottenuto da Sheridan cinque anni prima e divenendo di fatto il secondo
giallo a puntate mai riuscito ad entrare nella mitica Top Ten. Il primo
firmato dallo scrittore inglese ma, come vedremo, non l'ultimo.
In quel 1971, che a Novembre avrebbe visto arrivare sugli schermi della
Rai la sesta versione italiana di un giallo televisivo di Durbridge,
l'evento mediatico dell'anno a livello di fiction era stato "Il
segno del comando", curioso mix tra detective-story e
ghost-story, diretta dal veterano Daniele D'Anza su un soggetto
originale di Flaminio Bollini e Giuseppe D'Agata, che tenne incollato al
video il pubblico italiano per cinque domeniche, tra Maggio e Giugno,
nel seguire le avventure del professor Edward Foster (Ugo Pagliai) alla
scoperta dei misteriosi segreti soprannaturali celati negli antichi
vicoli della Roma sette-ottocentesca e all'inseguimento di un fantasma
con le affascinanti fattezze di Carla Gravina. Una storia di
reincarnazione e di parapsicologia (molto di moda in quel periodo) che è
rimasta un classico tra gli sceneggiati Rai, tutt'oggi di gran richiamo
ad ogni nuova edizione in DVD e citatissima in ogni libro o articolo che
si occupi dell'argomento, ma che per quanto successo abbia potuto
riscuotere (ci credereste?) non riuscì a piazzarsi nella classifica dei
dieci programmi più seguiti dell'anno. Cosa che invece riuscì qualche
mese dopo, e più che egregiamente, a "Come un uragano", il nuovo giallo
di Francis Durbridge, in onda per la prima volta in sole cinque puntate,
dal 28 Novembre al 12 Dicembre, ogni domenica e martedì sul Nazionale.
Anche nello script originale, "Bat Out of Hell", datato 1966,
Durbridge, era stato costretto per la prima volta, per un'improvvisa
decisione dei dirigenti della BBC, a ridurre le classiche sei puntate da
30 minuti l'una a cinque, contraendo la trama della quinta e della sesta
in un'unica puntata, ma come ormai ben sappiamo, le cose funzionavano
diversamente in Italia, ed anche se pure da noi ci fu la diminuzione di
una puntata, restava il problema di rimpinguare adeguatamente la storia
per trasformare le due ore e mezzo scarse della serie inglese nelle
cinque ore abbondanti della versione italiana. Ancora una volta, sotto
l'attenta regia di Silverio Blasi, regista esperto ma esordiente
assoluto nel genere poliziesco, Biagio Proietti fu chiamato ad adattare
la traduzione di Franca Cancogni del testo di Durbridge, per produrre
una nuova sceneggiatura che soddisfacesse le esigenze di durata
richieste dalle trasmissioni Rai. E per la prima volta (evidentemente
questo era lo sceneggiato delle "prime volte"), lo fece, non limitandosi
ad aggiungere od allungare scene e dialoghi, ma inserendo un'altra trama
nella trama originaria. Infatti, a grandi linee, la storia scritta da
Durbridge raccontava di un delitto progettato da una donna e dal suo
giovane amante ai danni del marito di lei e dei guai in cui i due
improvvisati criminali incappano quando il cadavere scompare e qualcuno
comincia a perseguitarli. Si trattava, come si vede, di un giallo un po'
più classico dei soliti di Durbridge a base di più o meno vaste
organizzazioni criminali e di misteriosi capi senza volto. Proietti
pensò bene invece di reintegrare nella storia proprio quei requisiti che
"mancavano", rinforzando il plot con elementi più caratteristici
dello stile "durbridgiano".
Nella cittadina di Alunbury, nel Suffolk, il nuovo ippodromo di recente
costruzione sta rapidamente diventando un punto di riferimento per gli
appassionati di eventi ippici, sollevando l'attenzione di Scotland Yard
che ha notato strani e cospicui movimenti di denaro, tanto da sospettare
che un'importante organizzazione di scommesse clandestine vi abbia messo
gli occhi sopra. A questo scopo da Londra è arrivato l'ispettore Clay,
ufficialmente per sostituire il suo collega locale, l'ispettore Booth,
in procinto di partire per un periodo di vacanze, ma in realtà per
indagare di nascosto sull'ippodromo. Particolarmente sorvegliati sono
Ken Harding, un piccolo allibratore del luogo, e Albert Roach, ricco
impresario edile e proprietario dell'ippodromo stesso. Nel frattempo,
apparentemente estraneo a tutto questo, si sta svolgendo un classico
dramma famigliare. Diana Stewart, la bella e trascurata moglie di
Geoffrey Stewart, l'agente immobiliare di Alunbury, ha intrecciato con
il giovane assistente di suo marito, Mark Paxton, una relazione
sentimentale, e insieme i due hanno progettato di sbarazzarsi del ricco
ed avaro coniuge per godersi l'eredità. Un giorno, Paxton, con un
pretesto riesce a trascinare Geoffrey in una vecchia e cadente casa,
sostenendo che Albert Roach ha intenzione di acquistare il terreno per
costruirci un albergo. Lieto di potersi finalmente sbarazzare di una
proprietà che credeva invendibile, Geoffrey abbocca e Paxton lo uccide
con due colpi di pistola. Secondo il piano previsto, i due complici
dovrebbero liberarsi del corpo portandolo in una cava di pietra vicina
dove verrebbe per sempre seppellito dalle esplosioni provocate dai
lavori in corso. Così in attesa di trasferirlo nella sua ultima dimora,
Paxton nasconde il morto sulla sua auto e la parcheggia nel garage di
una casa deserta. Ma quando Mark torna per recuperare il cadavere,
questo è scomparso. E poco dopo, Diana riceve una telefonata da suo
marito, in cui il "defunto" le ingiunge di riconoscere il suo corpo
quando verrà chiamata per l'identificazione. Spaventatissima, la donna
si confida con l'amante che però si rifiuta di credere che a telefonarle
sia stato Geoffrey. Tuttavia il giorno dopo, un corpo sfigurato, ma con
gli abiti di Stewart, viene effettivamente ritrovato nella pietraia in
cui i lavori sono stati inaspettatamente interrotti, e Diana e Mark non
possono fare altro che fingere di riconoscere il marito di lei.
Indagando in coppia sul caso, gli ispettori Booth e Clay annusano subito
qualcosa di strano nell'atteggiamento di Diana e Paxton, ma esaminano
anche da vicino l'entourage di amici e conoscenti degli Stewart,
dai coniugi Glenda e Paul Cooper, proprietari di un elegante negozio di
lampadari, a Bill Grant, gestore di un parco di auto usate, all'ambigua
Kitty Ryan, padrona di un negozio di dolciumi e ficcanaso ufficiale del
paese. Seguendo le indicazioni di una nuova telefonata del presunto
morto, questa volta ricevuta da Glenda Cooper, Diana si reca ad un
appuntamento con il marito in una località vicina, Pine Lodge, ma qui
trova ad aspettarla Clay, giunto anche lui su una segnalazione anonima,
ed una brutta sorpresa: il cadavere di Geoffrey è stato ritrovato
proprio lì privo di vestiti e morto da almeno due giorni, mentre il
corpo da lei identificato sembra essere quello dell'allibratore, Ken
Harding. Ora Diana dovrà rispondere a molte difficili domande. Ma
soprattutto ad alcune che si pone lei stessa: a chi apparteneva la voce
che al telefono si è presentata come suo marito? E perché adesso la sua
amica Glenda nega di aver mai ricevuto la chiamata di Geoffrey,
affermando che è stata lei a dirle di averla avuta? E che significa la
frase "A Diana, entrata nella mia vita come un uragano", fatta incidere
da Geoffrey su un portasigarette d'oro, ritrovato nella tasca della sua
pelliccia, ma che lei non ha mai visto? Altri cadaveri, naturalmente, si
aggiungeranno alla lista, collegando presto le due vicende, quella delle
scommesse truccate e quella del complotto uxoricida, solo apparentemente
slegate.
Come di consueto mi sono limitato a fare un rapido sunto delle prime
fasi della storia, invitandovi, se ancora non l'avete vista, a
recuperarla nella versione DVD in cofanetto (o in alternativa su YouTube,
dove credo che tutti gli sceneggiati di Durbridge, da "Melissa" in poi,
siano disponibili).
Dicevo più sopra, che Proietti aggiunse all'intrigo da "delitto in
famiglia" di Durbridge, tutta la trama associata all'organizzazione
delle scommesse clandestine e all'ippodromo, che nell'originale non
esisteva, ma lo fece con tale maestria ed utilizzando un tema che si
legava così bene a Durbridge che i due capi della storia finiscono per
amalgamarsi perfettamente, anche se l'ultima puntata dovette essere
quasi completamente riscritta, lasciando del testo originale
praticamente solo l'identità del colpevole e poco altro.
E il pubblico televisivo premiò lo sceneggiato diretto da Blasi con
l'incredibile media di quasi ventidue milioni di spettatori a puntata, e
con punte di oltre venticinque nell'ultima. Il miglior risultato di ogni
tempo per un giallo alla televisione italiana. Questi ascolti da finale
dei mondiali di calcio fruttarono a "Come un uragano" il podio nella
Top Ten del 1971, con un bellissimo terzo posto, subito dietro a "Canzonissima"
e alla serata finale del Festival di Sanremo, e davanti a pesi massimi
degli ascolti come il "Rischiatutto" di Mike Bongiorno e ad uno dei più
famosi sceneggiati di Anton Giulio Majano, "E le stelle stanno a
guardare", tratto da Cronin, con Giancarlo Giannini, Orso Maria Guerrini
e Anna Maria Guarnieri, tra gli attori più amati della tv di quel tempo.
Ma anche il giallo di Durbridge poteva sfoggiare un cast di tutto
rispetto: Alberto Lupo, redivivo dopo l'infelice fine di "Un certo Harry
Brent", tornava nel ruolo dell'ispettore Clay; la splendida e
giovanissima Delia Boccardo (allora appena ventitreenne) era Diana
Stewart; Corrado Pani, altro idolo del pubblico femminile dell'epoca,
era Mark Paxton; e poi, Renzo Montagnani come Bill Grant, Adriana Asti e
Cesare Barbetti nella parte di Glenda e Paul Cooper, Nora Ricci, vecchia
gloria del teatro italiano, come la ficcanaso Kitty Ryan, Renato De
Carmine come il losco Albert Roach, e lo stesso regista Silverio Blasi
si ritagliò una breve parte (breve perché lo fanno fuori già nella prima
puntata) nel ruolo dell'allibratore Ken Harding. Aggiungerei anche
Gabriella Grimaldi, che appare solo dalla quarta puntata nel ruolo di
una ragazza che darà una svolta decisiva al caso, e che è in realtà la
sorella di Delia Boccardo.
Girato come di consueto in estate, per poter essere pronto alla messa in
onda in autunno inoltrato, tra Roma e, per gli esterni, l'Inghilterra,
in particolare Londra e Claire, un villaggio ad un centinaio di
chilometri dalla capitale britannica, dove fu ricostruito il paesino di
Alunbury, "Come un uragano" fu avvolto dalla solita cappa protettiva di
mistero sulle riprese che tanto bene aveva funzionato nelle occasioni
precedenti a livello mediatico, assicurandosi un elevato grado di
curiosità da parte dei giornali e del pubblico. L'unica indiscrezione
che circolava sul set era che questa volta Alberto Lupo sarebbe giunto
incolume alla fine. Lui non sarebbe stato una delle vittime, non solo
perché era il poliziotto che conduceva le indagini, ma soprattutto
perché dopo il trambusto di "Un certo Harry Brent", nessuno si sarebbe
preso la responsabilità di farlo morire di nuovo sullo schermo.
Il finale, invece, e quindi il nome del colpevole, vennero, a quanto si
disse, nascosti anche allo stesso regista, che asseriva negli articoli
del Radiocorriere TV di essere stato affiancato sempre da un funzionario
della Rai che gli suggeriva continuamente cosa riprendere, come
riprenderla e per quanto riprenderla. Dovette, come i colleghi che
l'avevano preceduto, girare più finali, ma stavolta senza sapere lui
stesso quale fosse quello vero, che sarebbe stato deciso e montato sotto
la supervisione di questo non meglio identificato "funzionario" solo a
poche ore dalla messa in onda dell'ultima puntata. Se questa fosse solo
l'ennesima invenzione dell'ufficio stampa della Rai per acuire la
curiosità dei lettori, non saprei dirlo ma non lo escluderei.
Il commento musicale fu affidato a Bruno Nicolai, compositore anche per
il cinema e stretto collaboratore di Ennio Morricone di cui aveva
diretto tra l'altro le musiche per i film di Dario Argento, che portò
appunto echi "morriconiani" nella colonna sonora, tanto che nei momenti
di tensione pare di riconoscere le tipiche note stridenti di alcuni temi
de "L'uccello dalle piume di cristallo" o "Il gatto a nove code". Ma
anche la regia di Blasi sembra farsi debitrice in più di un momento
della lezione argentiana, e più in generale delle atmosfere dei "thrilling
all'italiana", tanto di moda proprio in quegli anni, con insistite
soggettive dell'assassino e primi piani sulle sue minacciose mani
guantate di nero.
Di Nicolai anche "Diana", la bellissima sigla finale cantata da David
King, su immagini caleidoscopiche che ripetono quelle dei quasi
inesistenti titoli di testa, ruotando sullo schermo proprio "come un
uragano".
Text: Antonio Scaglioni |